lunedì 28 febbraio 2011

Su facebook sparare agli squali fa ridere

Eccomi di nuovo a voi, miei Mabastini. Avete sentito la mia mancanza? Avete ragione, ma anch’io ho bisogno di un po’ di pace e di riposo, nel mio luogo magico dove posso scrivere e dimenticarmi di tutto.
Oggi però sono di nuovo all’opera, con un Mabasta che mi nasce dalla bocca dello stomaco come lo scoppio di un petardo, un raudo da stadio.
Perdevo un po’ di tempo su facebook in pausa pranzo, giochicchiando con una delle applicazioni: Mind Jolt Games. Mentre sullo schermo cadevano stelline colorate da raggruppare in file di tre mi è caduto l’occhio sulla pubblicità in cima alla pagina, proprio sopra il riquadro di gioco.
C’era un sub, con un fucile in mano, e una scritta lampeggiante che diceva: Spara a 5 squali! Comparivano allora uno dopo l’altro degli squali a cartone animato, che si dirigevano ferocemente verso il sommozzatore. Se cliccando col mouse si spara, la fiocina prende in pieno la testa del pescione, il mare si riempire di sangue, e una volta fatto 5 compare una bella scritta lampeggiante: Vincitore. Se non si spara lo squalo mangia il sub, e Perdente campeggia a tutto schermo.
Ora, io lo so che è solo uno stupido giochino, lo so che non dovrei dargli alcuna importanza, ma non ci riesco.
MABASTA santo cielo!
Basta con queste ingiustizie nei confronti di animali unici, meravigliosi, ed indispensabili per la salute dei nostri mari. Non si può  continuare a non mostrare alcun rispetto verso di loro. E’ davvero così divertente giocare a fiocinarli? Che messaggio ne viene fuori? Che sono talmente inutili che si possono ammazzare per ridere? Che è normale sparargli? E quindi perché non continuare a tagliargli le pinne da vivi, per poi ributtarli in acqua, senza più possibilità di muoversi, destinati a morire sul fondo del mare, precipitando verso il basso, giù nell’abisso che l’uomo non vede, e morire soffocati? Buttati via come una lattina arrugginita?
Ignoranti. Presuntuosi. Uomini.
Questo nostro cervello, che ci rende così speciali, gioca anche brutti scherzi: crediamo di essere superiori, di tenere in mano le redini della vita, il destino per le palle. Di essere proprietari del mondo, che tutto ci sia dovuto soltanto perché possiamo parlare e risolvere qualche problemino di logica. Ma per favore.
A miliardi di persone non interessa nulla al di fuori di se stessa, non si pongono domande, non si chiedono quali siano i ruoli, le regole da seguire, il rispetto da portare per chiunque condivide con noi il pianeta. Che abbia sangue o linfa nella vene. Nulla ha importanza, solo il piccolo uomo.
Miliardi di persone non sapranno mai cosa si prova a condividere con uno squalo uno specchio di mare, ad essere lì, per un momento, insieme a lui, che ti nuota a fianco, e ti guarda con quegli occhi carichi di coscienza, di consapevolezza, di appartenenza. Uno e tutto. Loro lo sanno.
Come fantasmi ti passano accanto, comparendo dal blu e nel blu ritornando in una scia di grandezza che contagia. L’acqua freme di sacralità, in un incontro ai limiti del mistico.
Chiedete a chiunque abbia mai incontrato uno di loro durante un’immersione o facendo snorkeling. Chiedete cosa hanno provato.
Poi fatemi sapere se sparare a dei cartoni animati che rappresentano quello che succede nei mari del mondo per la compravendita di pinne e mascelle è divertente.
Io spero solo che qualcuno fiocini chi crede di sì.

martedì 22 febbraio 2011

Volti d'Africa: Lewis

Lewis si è svegliato da un coma di tre mesi senza poter più camminare né parlare. 
All’ospedale di Lusaka sono riusciti a tenerlo in vita ma non a capire quale sia la malattia che lo ha paralizzato. 
Un giorno il sole si è spento di colpo e così il suo sogno. La porta era lì davanti e sui suoi piedi il pallone della vittoria. Il calcio è una grande passione in Zambia e quando la gente incontra un italiano per strada gli ricorda subito di quella volta, nell’89, quando lo Zambia ha battuto l’Italia 4-0. Lewis era una vera promessa, sognava di giocare in una squadra europea ma soprattutto nella nazionale del suo paese.
Sulle pareti della stanzetta che questo ragazzo di 15 anni divide con altri tre fratelli e due sorelle c’è ancora appeso il poster di quella squadra di eroi nazionali vittime di un disastro aereo, scoloriti nella carta ma vivi nel ricordo. Appesa a un chiodo ormai anche la maglia numero 9 compagna di tante partite.
Ora i 90 minuti non sono più quelli da trascorrere correndo su un campo da calcio rosso e polveroso, con la gente assiepata ai bordi, ora sono quelli che le volontarie dell’home based care gli dedicano tre volte alla settimana per portare un po’ di sollievo a lui e alla sua famiglia. Sono minuti preziosi in cui le care givers gli fanno fare della fisioterapia che gli provoca grande dolore ma previene le piaghe e l’atrofizzarsi completo dei muscoli; in cui gli fanno il bagno e gli lavano la maglietta con la faccia di Ronaldo che lui si tiene sempre stretta; in cui preparano una cena povera ma sufficiente per sopravvivere.
Qualche amico ogni tanto si affaccia alla finestra per aggiornarlo sugli ultimi risultati del campionato inglese e per un attimo gli occhi di Lewis brillano nel buio della sua casetta di Filanda, compound di Lusaka, sinonimo di povertà. Si sfruttano i minuti di recupero per un’ultima carezza e una preghiera al buon Dio perché mai li abbandoni e al fischio finale la volontaria se ne va, gli amici corrono a giocare e strisciare verso il sole è troppo faticoso.
Così Lewis soffia sulla candela e si copre il viso con gli stracci che gli fanno da lenzuola. Il buio non gli fa paura e si addormenta libero di correre.

sabato 19 febbraio 2011

Dallo Zambia storia di due venditrici di strada

E’ rossa per Mary e Mary la vita. Rossa come il sole che vedono sorgere ogni giorno quando escono di casa per andare al mercato. Rossa come il terreno che polveroso avvolge le loro caviglie, gonfie per il troppo camminare e per la pressione alta che non si può curare. Rossa come il sangue che scorre caldo nelle loro vene, come quello versato dai fratelli e dai mariti scomparsi lasciando in eredità tanti bambini da crescere. Rossa come la speranza. Rossa come i pomodori che cercano di vendere per portare a casa, nel compound, qualcosa da mangiare per cena alle loro famiglie.
Mary e Mary sono sorelle inseparabili, venditrici di strada. Sono povere. Molto povere. Così povere da vivere in nove in una casa grande come il nostro salotto, con pochi stracci per terra a fare da letto e qualche pentola desolata in un angolo. Così povere da dover guardare impotenti i loro figli ammalarsi, come una splendida bimba con le treccine e due occhi grandi come il mare che però presto non vedranno più.
Ma sono ricche. Ricche di fede, di speranza e di una gioia profonda che le fa cantare sempre, con gli occhi luminosi e la risata sincera che contagia i cuori. Non hanno nulla ma hanno tutto: hanno la pace dello spirito che le porta ogni giorno fiduciose per le strade di Lusaka con i cesti colmi di pomodori e di sogni. Sogni piccoli e grandi: vendere tutte le loro verdure in un giorno e poter mangiare per qualche giorno di seguito, aprire nel compound una community school per tutti i bambini, avere le medicine per curarsi. “Abbiamo fede, San Francesco e Santa Chiara erano poveri come noi e ce l’hanno fatta, ce la faremo anche noi”
E’ seria Mary mentre chiede di inviarle una cartolina da Assisi, la sorella invece le dà una pacca sulla spalla e si rotola dalle risate, ogni scusa è buona per divertirsi un po’. La giornata è stata buona, hanno trovato un banchetto dove esporre la merce e hanno venduto abbastanza per una meritata cena. Domani forse dovranno stendere i pomodori per terra e potrebbero non vendere nulla, ma “poco importa, c’è ancora tempo per pensarci”.
Rosso è il tramonto quando il sole si scioglie nel cielo e le stelle già brillano quando le due sorelle rincasano.
Mary stamattina non si è più svegliata: il suo cuore malato ha smesso di battere, ma il rullo dei tamburi risuona ancora nelle terre d’Africa. L’Africa che nessuno sembra in grado di aiutare, che tendiamo a dimenticare, ma è sempre lì, nel sole o nell’ombra.
Rosso è il fuoco che crepita mentre l’acqua bolle. Rossa la fiamma della candela che si riflette negli occhi scuri durante la cena. Un soffio e poi il buio. 

venerdì 18 febbraio 2011

Villa certosa,il video censurato di nuovo su internet

Su You tube ha ripreso a circolare il video del telegiornale spagnolo, mandato in onda sul canale la Cuatro, in cui venivano rese pubbliche le immagini scattate a Villa Certosa, la casa in Sardegna di Berlusconi. Il servizio non è recentissimo, si riferisce ai primi momenti delle rivelazioni sui festini hard di Silvio. 
Mentre l'Italia è presa nel vortice della rivelazione del caso Ruby, delle dichiarazioni delle ragazze coinvolte e no, ma che pretendono di esserlo, ecco alcune foto che, sinceramente, lasciano pochi dubbi.
Un uomo è innocente fino a prova contraria, e qui non si vede Berlusconi intento agli atti per cui verrà giudicato, ma le immagini mostrano che effettivamente le feste c'erano, e la promiscuità non mancava.
Il Premier aveva denunciato il quotidiano El Pais per aver diffuso gli scatti che in Italia erano stati proibiti.
Di certo, quello che ne viene fuori, è il forte dubbio che ormai la censura arrivi ovunque, e che non ci sia più una libertà di stampa nel nostro paese. E nemmeno su internet.
Il video è stato rimesso in circolazione cambiando titolo, url, formato. Questo per non incappare di nuovo nel blocco da parte di youtube. 
Io ve lo propongo, poi ognuno tiri le sue conclusioni.
La mia è Mabasta
Guardate il video a questo link

Il canto delle balene

Sembra che per quest’anno le balene potranno arrivare sane e salve in Antartide, alla fine della loro lunga rotta migratoria, senza più incappare nelle maledette baleniere giapponesi.
Dopo l’annuncio di due giorni fa, arriva oggi la conferma che la stagione di pesca è sospesa, tramite il ministro della Pesca, Michihiko Kano.
"Ogni balena salvata è una vittoria, una vittoria nostra", ha commentato soddisfatto Paul Watson, leader di Sea Shepherd, che ha attaccato per ben 9 volte le navi giapponesi. 
E la comunità di ambientalisti ed amanti degli animali gioiscono con lui.
La caccia alla balene è disgustosa, cruenta e totalmente inutile, anche se i giapponesi, a cui frutta milioni di yen, non sono esattamente d’accordo.
Ma la protezione dei giganti dei mari è di vitale importanza per la salute dei nostri oceani.
Solo quest’anno era prevista la cattura di 850 megattere, un numero stratosferico, che avrebbe rischiato di dare un colpo molto forte alla popolazione di quelle balene.
Già debilitate per il lungo viaggio verso l’Antartide, dopo aver a fatica cresciuto i loro piccoli, insegnato loro la rotta migratoria, come sopravvivere a orche e tempeste, le balene diventano bersagli fin troppo facili per le crudeli baleniere.
Nonostante la loro stazza sono come enormi peluche sotto i colpi mortali degli arpioni. E senza la madre ad aiutarli i piccoli sono condannati a morte sicura, facendo decrescere le possibilità di sopravvivenza della specie.
L’uomo non si rende mai conto delle conseguenze delle sue azioni. Mai. O forse non gliene frega niente.
L’importante è il guadagno immediato, sfruttare fino all’ultima risorsa possibile, incuranti di quello che riserverà il futuro a generazioni ormai senza di noi.  Sembra retorica ma è così.
Eppure i giapponesi dovrebbero aver imparato cosa significa non potersi difendere, essere distrutto, annientato, ammazzato in un attimo. Dovrebbero aver imparato l’importanza e il senso della vita. Loro, che erano diventati ombre sui muri alla luce dell’atomica.
Continuano invece a massacrare le balene, a tagliare le pinne agli squali per farne zuppa, a non rispettare gli animali e la natura.
Chi non sa, chi non ha sperimentato in prima persona non può capire certe cose, perciò proverò a spiegarvi una cosa io.
Sott’acqua, quando la coscienza vibra attraverso un erogatore e nel blu infinito ti senti piccolo ma importante, la corrente spesso ti porta un canto.  Lontano chilometri, spesso talmente vicino che ti giri impazzito sperando di poterne vedere l’autore.
Quel canto è sempre diverso, modulato con un richiamo di amore, pace, grandezza. Il canto della megattera è il suono più amato dai subacquei del mondo: sa far commuovere, fino alle lacrime, ti vibra dentro rendendoti acqua. Ti racconta le grandi storie degli oceani, le folli avventure dei mari, tra creature fantastiche e reali.
Il canto della balena è misticismo puro.
E senza le balene nel mondo non avremo più così grandi poeti. 
Mabasta.



Orsi polari a grave rischio di estinzione

Gli orsi polari saranno estinti per la fine del secolo. 
Lo ha annunciato l’Arctic Climate Impacts Assessment, una commissione scientifica creata dai governi dei paesi artici per monitorare lo scioglimento dei ghiacci dovuto all’aumento della temperatura del pianeta.  
Gli orsi polari cacciano le loro prede durante i mesi invernali sul ghiaccio, immagazzinano il grasso necessario per sopravvivere in primavera prima che il ghiaccio si formi di nuovo in autunno. 
L’aumento della temperatura fa durare i mesi invernali di meno e aumenta la lunghezza dell’estate, costringendo gli orsi a rimanere più a lungo sulla terra ferma e a bruciare molto di più il grasso immagazzinato. Gli scienziati affermano che, se non ci sarà una drastica inversione di tendenza, nel 2012 gli orsi saranno così magri da non avere la forza di riprodursi, e una specie che non si riproduce è destinata ad una rapida estinzione. Inoltre lo scioglimento e l’allontanamento dei ghiacci rende le distanze da percorrere a nuoto proibitive per i giovani esemplari che muoiono annegati, come è successo quest’anno in numeri preoccupanti. Quest'anno il ghiaccio è arrivato nella Hudson Bay, in Canada, con 4 settimane di ritardo, e a fine stagione il livello è stato il più basso dal 1971. La cosa ancor più preoccupante è stata il generale aumento delle temperature, che sono arrivate, in alcune zone, a 14 gradi sopra la media, e nella Baia intera almeno a 4 gradi in più rispetto agli anni passati, rallentando indubbiamente la formazione del ghiaccio. Se quest'anno lo scioglimento del ghiaccio dovesse realmente iniziare, come sembra, con un mese di anticipo, saranno tra il 40 e il 73% le femmine di orso polare che non riusciranno a portare a termine la gravidanza. Tra il 55 ed il 100% se dovesse iniziare due mesi prima.
Purtroppo il National Snow and Ice Data Center ha comunicato, basandosi sulle osservazioni aeree della baia, che a Gennaio il livello era già ai minimi mai osservati nello stesso periodo negli anni passati.
Questo vuol dire che una specie meravigliosa di animali potrebbe scomparire così in fretta da impedire ai nostri nipoti di conoscerla. Vediamo gli orsi polari in televisione giocare con le bottiglie di una famosa bibita e rotolarsi con i loro cuccioli nella pubblicità delle caramelle. Ci fanno sorridere ma non pensiamo che  potrebbero scomparire. Non permettiamo che diventino, come tanti altri animali, soltanto un ricordo impresso sulla pellicola di un documentario.

giovedì 17 febbraio 2011

La giornata dei gatti

Ti girano intorno con quelle zampe pelose e ti guardano con quegli occhi a volte pieni di amore, a volte di sufficienza, perché sì che siamo i loro umani, ma non allarghiamoci troppo con le smancerie per favore.
Sono i gatti, che con le loro vibrisse assaggiano la vita, che coi loro miagolii parlano all’invisibile.
Loro, che ti fanno le fusa solo se ne hanno voglia, e mai quando ne hai tu. 
Che ti svegliano regolarmente nel cuore della notte per dirti quanto ti amano, ma che se vuoi dargli un bacino in pieno pomeriggio e hanno sogni migliori da fare, si girano sdegnati e corrono come il vento a giocare con la polvere, pur di non darti soddisfazione.
Vivono per mangiare, costantemente, ma sono schizzinosi come la più fetida principessa, e schifano anche l’aragosta, se gli va.
Poi però si acciambellano sotto la tua ascella, preferibilmente quando indossi una maglietta un po’ puzzosa, e si addormentano così, al caldo del loro umano, al sicuro dai fantasmi del corridoio.
E quando proprio sono in vena di sdolcinatezze si mettono a pancia all’aria, come morbidi tappeti pelosi, e si fanno accarezzare come peluche, per poi morderti la testa dopo un secondo e scappare a giocare.
Ma c’è quell’attimo, lo sapete, in cui perdono ogni compostezza e calano la maschera, e ti vengono in braccio per fare il pane. Su e giù con le loro zampe morbidose, con gli occhi liquidi di trasporto e tenerezza, e quel motorino, che fa le fusa senza sosta, è il suono più dolce che esista al mondo.
Sono i gatti: caratteriali, intelligenti, giocherelloni, famelici, adorabili.
Non ti giudicano mai, anche se al mattino sei brutto e con l’alito pesante.
Non gli importa se hai successo o sei povero in canna.
Se ne fregano di come ti vesti, perché per loro sei perfetto così come sei e non capiscono come mai  non riusciamo a vedere l’evidenza.
Sono i gatti, ed io ringrazio Dio perché il mondo ne è pieno.
Per te amore mio, Steffi del mio cuore, e per il gatto Barty, tesoro di zia, che tutto nero ha fatto breccia nella nostra vita.
Miao

Vento di libertà

In una notte come tante, fra le sabbie del deserto, si è sollevata un’aria strana, nuova e cristallina. All’inizio era solo un soffio, poco più di un respiro, che riusciva a mala pena a spostare di qua e di là qualche granello isolato.
Ma col passare del tempo è diventato un alito di vento, che si muoveva basso, strisciando sulla terra arida e secca come un serpente. E’ diventato brezza una mattina, spingendosi con più vigore su, verso nord, mangiando la polvere per accrescere la sua consapevolezza.
Finchè è arrivato in pieno sole ai margini della città, con uno strascico di sabbia impigliata nella coda, con la forza e la rabbia di un ciclone che voleva sradicare il mondo.
E’ nato quel giorno un nuovo vento, ma ancora non aveva nome, non sapeva chi era. Si  è insinuato correndo fra gli androni e le strade soleggiate, si è affacciato alle finestre e si è profumato di dattero. Si è dipinto un po’ di bianco, un po’ di mille colori, e ha guardato se stesso, riflesso negli occhi degli uomini, mentre gli scompigliava i capelli.
E ha deciso di chiamarsi Libertà. 
Si è fermato allora a scrollarsi di dosso la sabbia del deserto, e con un gran soffio ha alzato nell’aria milioni di granelli, granelli col suo nome, e li ha spinti, uno ad uno, nei cuori delle persone.
Oggi quelle persone sono riunite nelle piazze e gridano a gran voce: libertà, libertà.
Attraversa il Maghreb, l’Egitto, la Tunisia, L’Iran, lo Yemen, l’Algeria questo vento nuovo, e nella sua coda non solleva più polvere, ma coscienze, spiriti, esseri umani. Si risveglia il medio oriente da una infinita notte senza luna, e il sole di questo nuovo mattino illuminerà il più grande cambiamento della storia dell’umanità.
La rosa ora  ha un petalo in più.

mercoledì 16 febbraio 2011

Il Genoa esalta i tifosi e vince il derby

E’ sentito come una questione di vita e di morte.
Le prese in giro, gli insulti, gli auguri spesso di scomparsa dalla faccia della terra, si sono rincorsi dal giorno in cui la partita era stata rimandata.
Un attesa che sembrava infinita, dilatata nelle coscienze ribollenti delle tifoserie.
E stasera è stato derby.
Sugli spalti coreografie e canti come sempre, saltellanti cuori rossoblu o blucerchiati, gole brucianti da domani mattina.
Il Genoa vince la partita più importante del suo campionato, 1-0, e prende una boccata d’ossigeno allontanandosi dal fondo classifica.
Ed è subito poesia.
I doriani sono depressi ormai, i genoani entusiasti, col morale alle stelle.
E i grifoni oggi volano, col petto gonfio avvolto nelle bandiere.
I clacson risuonano per le vie della città, umide di pioggia e di qualche lacrima di gioia, perché il derby è così, è questione di cuore, di sentimenti, e portano la voce degli sportivi felici, che stasera si addormenteranno col sorriso sulle labbra.
In attesa, ovviamente, del derby di ritorno.
Ma intanto le menti sono al lavoro: quali saranno gli sfottò di domani? Quali le prese in giro verso gli odiati cugini? Le vignette, gli scherzi, gli sfottò?
I doriani rosicano, i genoani ridono.
E rideranno per un pò.
Forza vecchio cuore rossoblu.

Bindi Premier, alzi la mano la donna che si riconosce in lei

Cari i miei Mabastini, queste giornate sono piene di notizie  qui sul blog. Alcune sono scritte più seriamente, altre meno.
Questa meno.
Vendola, l’uomo che dovrebbe salvare la sinistra italiana, ha dato prova di sommo progressismo proponendo Rosy Bindi come nuovo candidato Premier.
Quando ho letto la notizia ho avuto un conato di vomito.
Ma per favore, ma per carità, ma basta! La Bindi?
Intelligentissima, coltissima, serissima, non si mette in dubbio. Ma inguardabile.
Alzi la mano la donna che si riconosce nella Bindi.
Forse qualche suora di clausura che non vede la luce del sole dal 1943, oppure la Befana, per la stretta somiglianza, o magari un silver back della foresta di Bwindi, per l’incredibile similitudine nel nome, nel passo, nell’andatura e nel colore dei capelli. Pelo per il gorilla ovviamente!
La Bindi, che 99 su 100 non ha mai visto un belino in vita sua, e dico solo visto, figuriamoci provato.
Rosy, che porta quelle gonne quasi alla caviglia così moderne, molto fashion, identiche a quella che abbiamo messo a mia nonna nella bara.
Maria Rosaria, che non conosce il significato della parola trucco, parrucchiere, sarto, pedicure, ceretta, orgasmo.
Che Niki è molto più femminile di lei, ed ha anche degli orecchini più belli.
Che ha le perle ormai sotto pelle, come le tribù africane, perché non se le leva da quando gliele hanno regalate per il suo quarto compleanno.
Che è larga come un transatlantico e alta come un nano da giardino.
Che ha una voce così soporifera che gli amici che soffrono di insonnia la chiamano a mezzanotte e dopo due parole son lì che russano come dei camionisti ubriachi.
Ma per favore..immaginatevela nelle foto di stato accanto ad Angela Merkel, Hillary Clinton e magari Carla Bruni.
La gnocca, le due signore, e la sguattera.
Insomma, con il paese ormai alla frutta, non c’è proprio niente di meglio?
Il problema è che la risposta è no.

Ti sputtanerò di Luca e Paolo incredibilmente censurato in rete

Allora, a me certe cose sembrano impossibili, e mi fanno terribilmente incazzare.
Ieri sera, in quella pallosissima noia preistorica che era il Festival di Sanremo, Luca e Paolo, i due comici delle Iene, si sono esibiti in una canzone di satira pura: ti sputtanerò. 
Era un immaginario dialogo tra Fini e Berlusconi sui loro rispettivi guai e crolli politici: i festini, la casa di Montecarlo.
Da piegarsi dal ridere, e oggi infatti impazzava per tutta la rete.
Il video della scenetta è stato postato su tutti i social network finchè, ad un certo punto della giornata, non è stato più possibile.
Niente inserimenti, niente commenti, non si riesce nemmeno più a condividere.
Insomma, censurato.
Mabasta!
Che vergogna. Queste sono cose da regime dittatoriale, non da paese libero e democratico.
Sapete tutti che io non so né pro né contro Berlusconi, che non ho una netta posizione politica perché mi fanno schifo tutti, ma questo è davvero troppo.
E’ come se mettessero il bavaglio al mio blog, impazzirei. Perché ho il diritto sacrosanto di dire quello che voglio, quello che penso, perché sono una scrittrice. Finchè non offendo qualcuno devo avere la possibilità di esprimermi.
Luca e Paolo sono comici, pagati dalla rai che sicuramente sapeva il testo della loro canzone e li ha lasciati andare in onda. Quindi non ci sono gli estremi per la diffamazione.
Ora non si può fare oscurantismo, non in questo modo.
Vaffanculo! Dovete smetterla!
Viva la libertà!
Quando ci ribelleremo anche noi sarà troppo tardi.
Sveglia! Tutti quanti!

Social card 2011 a più famiglie, perchè la crisi è finita


Il nostro Paese è ormai in netta ripresa.
Sono tutti molto chiari, al riguardo, i politici italiani. I cittadini possono stare tranquilli, perché la nostra economia si basa sulla produzione, sulle imprese, e non verrà toccata, se non marginalmente, da eventuali crisi dei mercati finanziari o della moneta unica.
Peccato che i prezzi siano sempre alle stelle e i dati sulla produttività alle stalle.
Così, proprio perché non c’è di che preoccuparsi, il Governo ripropone la Social Card, la Carta Acquisti per gli ultrasessantenni  e le famiglie con almeno tre figli, che non riescono ad arrivare alla fine del mese senza mettersi le mani nei capelli.
L’idea non è certo nuova: in Europa Polonia, Olanda e Gran Bretagna l’hanno già adottata da tempo, per motivi simili. Gli Stati Uniti la usano dal 1939: sempre avanti, nel bene e nel male.
Da noi è arrivata per la prima volta nel 2008, con la faccia  da campanello d’allarme e bello forte.
Sono oltre un milione e cinquecentomila  infatti le persone che potranno richiedere la carta,  beneficiare di 40 euro mensili per fare la spesa nei negozi convenzionati e per accedere alle tariffe agevolate dell’Enel.
Un investimento, da parte dello Stato, di quasi 6milioni e mezzo di euro, se il numero delle carte rimarrà invariato.
I primi ad aver diritto alla carta sono stati i pensionati e le famiglie che rientravano nel limite dei 6000 euro di reddito l’anno, 8000 per gli ultrasettantenni, che avevano ricevuto una lettera che spiegava il funzionamento della social card, come richiederla e dove ottenerla. 
A questo giro i limiti sono stai  alzati a 6235,35 e 8813,80.  A prima vista non sembra un aumento eccessivo, ma guardando bene ci si rende conto che è tantissimo. Saranno centinaia le persone a rientrare nel programma, anche se prima ne erano escluse.
Vuol dire che 80 euro in più al mese fanno la differenza fra indigenza ed autosufficienza.
Tra fame nera e capacità di andare avanti da soli.
Cosa dovrebbe inventarsi un anziano per integrare la sua misera pensione?
Quali possono essere le fonti di reddito per un ultrasettantenne, tali da portargli  qualche euro in tasca in più al mese?
Gli annunci adsense su internet? Click bank? O la vendita di dentiere ed apparecchi acustici su ebay? Spaccio di pannoloni e sacche di fisiologica?
Ma per favore, mabasta!
Meno male che la crisi è finita!
E comunque c’è un piccolo dettaglio: la carta va richiesta.
E’ possibile che le famiglie giovani siano in grado di compilare senza alcun problema il modulo del Governo, ma una persona anziana, magari sola, sarà capace di districarsi tra tutti i comma e i campi obbligatori da riempire? Sapranno cos’è un indicatore ISEE, ce l’avranno l’attestazione?  Sapranno sommare al reddito pensionistico il valore di un immobile abitativo, di un auto e di un’utenza elettrica? Non è che alla fine, presi dalla disperazione da burocrazia desisteranno?
In fondo cosa si compra con 40 euro al mese? Come si possono pagare le bollette?  Come si fa a sopravvivere? Possono bastare per una settimana, ma non di più.
Meglio di niente, questo è vero, ma di certo è un palliativo con poco senso.
I problemi vanno risolti alla fonte, non lanciando bricioline di pane di qua e di là, sperando di distrarre la popolazione dalla reale incapacità di chi ci governa.
Di qualunque partito essi siano.
Facciamo anche noi una social card: la Mabasta card!
Ci carichiamo dentro tutte le nostre frustrazioni  e i vaffanculo, e poi le mandiamo a Roma.

Ma non per posta, altrimenti vanno perse.

Il Festival dell’orrore

Raccapricciante.
Il Mabasta parte subito, zac, senza aspettare. Perché la puntata inaugurale del festival di Sanremo è stata davvero inguardabile.
Gianni Morandi, in giacca di paillettes caccaro-chic, era un po’ confuso: invece della 61esima edizione del festival era convinto di dover presentare quella del 1961.
Tutto era perfettamente in stile: i siparietti, le battute, le facce, lo scambio dei fustini di detersivo.
Una parata di cariatidi degna dell’era glaciale, una riga di cantanti senza voce ma tanti lifting, un palco circense di mostri di cera.
Qualche nome? Usciti dalla naftalina hanno rivisto la luce Battiato, Patty Pravo, Vecchioni, Anna Oxa e l’immancabile Albano.
Patty, vestita da Madame Tussauds, ha sussurrato per metà canzone e più o meno cantato nel ritornello. Vecchioni, sempre coi soliti jeans e giacca, ha fatto una specie di rap lento, visto che praticamente recitava le strofe invece che intonarle. La Oxa, così liftata  da aver bisogno di capelli simil rasta per coprire l’attaccatura alla Mary Shelley, ha tirato una stecca tale da far sembrare intonata una gallina mentre le girano il collo.
E poi lui, Albano. Albano e Amanda. Sulla voce niente da dire, sempre forte e limpida. Ma la canzone, ma dai, mabasta.  Un mix di musica marocchina e Mary Poppins: la vecchietta è sempre laggiù, dona dona due penny anche tu. Non so, la parte classica me la ricordava.
Spendo anche una parola per una vera e propria perla: il twist di Morandi e la Canalis, con lei che sculettava e lui che come un bradipo rantolava a suon di musica.
A-l-l-u-c-i-n-a-n-t-e
Le due bellone a momenti cadono dalla scala, la Canalis è inciampata e Belen si guardava fissa i piedi lenta come una formica storpia, mentre l’altra rischiava di trascinarla nell’abisso. Almeno erano eleganti e non dei mega troioni.
Al loro arrivo la sala, in stato comatoso per le palle mostruose che si stava facendo con le canzoni, si è improvvisamente risvegliata. I maschi gridavano come dei pazzi: brave, belle, ah gnoccheee. E per un attimo, visto il clima politico di questi giorni, ero quasi certa che qualcuno si sarebbe alzato e come Fantozzi si sarebbe dato ad espressioni di denuncia sociale urlando: W la fica!
Invece no.
E ad ogni stacco pubblicitario si ricominciava con le note di c’era un grande prato verde.
Ma non gliel’ha detto nessuno a Morandi che su quel cazzo di prato ci han fatto un parcheggio?



martedì 15 febbraio 2011

Un mutuo per andare al cinema

Giovedì vado al cinema. Ci vado così raramente che mi sembra degno di nota.
Soprattutto perché sarà una delle ultime volte in cui lo faccio.
Perché? Direte voi.
Perché da luglio, per comprare un biglietto e magari bersi una coca cola smangiucchiando due burrosissimi pop corn, ci vorrà un mutuo.
Il mitico Ministro Biondi, che a Dicembre aveva negato fino alla morte un aumento del prezzo del cinema, ha varato il decreto Milleproroghe, che stabilisce un aumento di 1 euro sul costo dell’entrata a partire da luglio 2011.
Posso dire ma vaffanculo?
Posso aggiungere e porco belino?
Mabasta!
Già siamo con la cannetta al naso, concedeteci uno svago, una serata in allegria. Non è possibile che uno si debba fare i conti in tasca per vedere se si può permettere o no di andare a vedersi un film.
Sì perché si pagheranno 9 euro a testa, 13 per i film in 3d. Più 4 euro per una bibita alla spina che sa solo di bustina, e 5 euro per i pop corn piccoli, il pacchetto da due. Non etti, pop corn.
Se per caso siamo così matti da avvicinarci alle caramelle gommose allora lì ci vuole un assegno, che costano 9 euro l’etto! Follia pura.
Una media di 18 euro. 36 mila lire, per essere all’antica. A testa.
Ma dai!
Stiamo raggiungendo livelli paradossali. Poi ci si domanda come mai a Genova non ci siano più cinema, perché stiano chiudendo tutti. Così come nelle altre città di Italia.
Tasse, tasse, tasse. Ci massacrano su ogni fronte, con peraltro una discreta fantasia.
Tra un po’ metteranno un’aliquota sulle scoregge.
Se sono silenziose 2 euro, se puzzano 4.
Addio pasta e fagioli!

Gli zimbelli del mondo


E’ ufficiale, il Berlusca va a giudizio.  
Basta Arcore, adesso la festa gliela fanno in tribunale.
E tra le sempre più deliranti accuse, rivelazioni e storielle che vengono pubblicate sui tenori delle serate a casa premier, il mondo ride.
Come un’eco impazzita la notizia ha fatto il giro del globo, e pure diverse volte.
Nessuno si esime dal commentare, anche quelli che dovrebbero solo stare zitti visti gli scandali che han dovuto fronteggiare in passato in caso loro.
Invece no, parlano, sbeffeggiano, gongolano. L’Italia alla gogna. Teatrino del burlesco, grottesco, osceno e patetico.
Patetico perchè in fondo Silvio ha una certa età, e tutti si domandano come diavolo faccia a zampettare con tutte quelle belle zoccolone, una dietro l’altra, senza sosta.
Roba da sfiancare un cavallo, ma lui no, imperturbabile.
Le cose più turpi sembra ormai facciano parte del repertorio quotidiano, non si parla d’altro.
Io a dire il vero sono un attimo stufa.
Non me ne frega niente del belino di Berlusconi, va bene?
E basta sti moralismi, le povere donne sfruttate. Bagasce sono, di mestiere. Sai che novità.
Cosa ne pensano secondo voi le puttane di strada? Quelle che prendono pochi euro da chiunque capiti, su un materasso marcio, tra topi e umido di vicolo? Gelose come delle bestie.
Almeno le donnine di Silvio stavano a bordo piscina, o nella jaccuzzi, tra fiumi di champagne, prima di incontrare il nostre bel presidente.
Chiamale sceme.
Si può non condividere la scelta di vita, ma come pensate che Eva abbia convinto Adamo a farsi dare la mela? Gli ha sventolato un po’ di pelo sotto il naso. E solo perché era la prima volta nella storia dell’umanità che si è accontentata del frutto del peccato, altrimenti avrebbe chiesto una pelliccia, una macchina e una bella villa. La cara progenitrice.
Comunque la Bbc, la Cnn e pure AlJazeera sbattono il caso Ruby in primo piano.
In Italia si parla di sesso, mentre il medio oriente lotta per la libertà dall’oppressione e dalla dittatura.
Questione di punti di vista.
Dire Mabasta è fin scontato!

Il Papa dice no alle adozioni ai single

E’ bastato che la Corte di Cassazione si pronunciasse a favore di una apertura, da parte del legislatore, dell’adozione di minori a genitori single per scatenare un inferno di polemiche.
In prima linea, e cosa aspettarsi altrimenti, la Chiesa.  
Risuona sotto il colonnato del Bernini il no secco del Papa: la famiglia è sacra, i bambini devono avere il diritto di crescere in un ambiente sano, coccolati dall’amore di mamma e papà.
Peccato che nel 2010 163 milioni di questi bambini siano stati accarezzati solo dalle mani della solitudine e dell’abbandono, negli orfanotrofi, dimenticati da tutto e da tutti.
Perché nello stesso anno sono state solo 1500 le famiglie disposte a districarsi nella burocrazia delle adozioni, con scarsi risultati.
La Convenzione di Strasburgo del 1967, per la tutela dei diritti del minore, non pone un veto ai genitori single.
Allora perché continuare a sostenere che il bene dei più piccoli debba venire prima di ogni cosa, quando in realtà li si mette in fondo alla lista degli ideali e delle convenzioni per cui lottare?
Come può un bambino stare meglio in un istituto, in camerate da dividere con altri sfigati come lui, a mangiare quello che passa il convento, a vestirsi con gli abiti smessi degli orfani di dieci anni prima,  dormendo con peluche così vecchi da sfaldarsi nel letto? Ma da tenersi ben stretti perché è da loro l’unico vero affetto incondizionato che ricevono?
Sarà mica retorica continuare a vedere solo nella famiglia formata da uomo e donna l’unico luogo sicuro per la crescita di un fanciullo?
E vogliamo per caso parlare dei focolari veri e propri, con figli frutto di qualcosa simile all’amore, dove però ci sono solo botte, bugie, liti e grida?
Cos’è meglio? Languire sognando che qualcuno si accorga di te, che meriti di essere amato, oppure andare a vivere con una persona sola, che però ti vuole un bene matto perché è venuto a cercare proprio te, e ti ha portato via dall’incubo, regalandoti una casa, una camera, un piatto diverso al giorno, tanti giochi, un’educazione e quell’amore che mai più speravi di trovare?
Cos’è meglio maledizione?
Saluta il Bernini,  Raffaello e Michelangelo il Papa, mentre passeggia per le grandi stanze del Vaticano pensando a cosa scrivere nei suoi bei comunicati stampa.
Intanto i bambini piangono.
Ma lui non li sente.

lunedì 14 febbraio 2011

L’ascensore pubblico costa come un volo per New York

Cari Mabastini, io non sono mai stata un drago in matematica.
Diciamo che a stento, nella mia carriera scolastica, sono sempre riuscita a strappare un 6 a fine anno ed evitare di essere rimandata a settembre.
Eppure i calcoli li so fare.
Ne volete una prova?
Oggi mi è capitato di dover prendere un ascensore pubblico, quello che a Genova porta dal Ponte Monumentale di Via XX Settembre su in Corso Podestà.
Entro nel piccolo tunnel, in uno squallore tipico da dimenticatoio, anche se l’ascensore funziona a pieno regime, e ha anche la sua bella utilità.
Tiro fuori il portafoglio per fare il biglietto alla macchinetta, e strabalto.
80 centesimi per una corsa unica, sola andata.
Scusa?
Non può essere vero, mi sembra un’esagerazione fuori dal mondo. 80 centesimi per 15 secondi di corsa, volendo mettere dei pesi alle ali del tempo.
15 secondi e poi si può buttare il biglietto.
Caro come il sangue, esoso come la più vorace sanguisuga di centesimi, costoso come un volo in business class.
Così ho fatto due conti. E’ solo una questione di proporzioni.
Ipotizziamo di voler andare a New York, biglietto di andata e ritorno in Business Class, appunto.
Il costo per 8 ore di volo, da continente a continente sorvolando l’oceano a gran velocità, è di 3200 euro.
L’ascensore, per 15 secondi di viaggio, fa pagare 80 centesimi.
Bene, in un minuto ci sono 60 secondi, e in un’ora 60 secondi x 60 minuti = 3600 secondi.
Quindi per farsi un viaggetto nella grande mela ci vogliono 3600 secondi x 8 ore = 28800 secondi.
Dividendo il prezzo del biglietto, 3200 euro, per i secondi, 28800, avremo un costo di 0,12 centesimi a secondo.
Il nostro ascensore, che da Via XX Settembre ci porta in Corso Podestà invece quanto ci costa?
80 centesimi diviso 15 secondi = 0,054 centesimi a secondo.
State con me ancora un momento, concentratevi.
Se  moltiplico i 0,054 centesimi al secondo dell’ascensore per le 8 ore di viaggio che mi separano da Manhattan  (0,054 x 28800) ottengo ben 1555 euro, esattamente il costo di un biglietto aereo di sola andata. La metà del prezzo del viaggio in America.
In termini di proporzione cosa vi sembra più caro?
La Business Class o il fatiscente, cadente e puzzolente ascensore?
MaBasta no?

Lettera all'amore

Amore, questo è il tuo momento.
E’ San Valentino oggi e tutti parlano di te.
Io invece voglio parlare con te.
Sai, Amore, tu sei il sogno degli adolescenti, la sicurezza degli adulti, la chimera sempre inseguita.
Ma sei anche illusione, disillusione, dolore grande e piccolo insieme. Sei gemello di solitudine, antagonista di odio, venerato nella fede.
Tu porti sorrisi e mille pianti, spogli il desiderio e lo rendi passione, poi però lo spegni e lasci la vergogna.
Puoi rendere pazzi, folli questi innamorati. Folli gli uomini rimasti da soli.
Sai, Amore, in fondo sei un gran bastardo.
Ti proponi agli occhi del pubblico tutto rosa, tra cuoricini rossi e cioccolatini dal gusto sopraffino. Ti pubblicizzi così nella festa degli innamorati.
Fai desiderare che le favole esistano e soprattutto si realizzino. Come per Biancaneve e Cenerentola, come per le famiglie del mulino bianco, che non litigano mai.
Ma quando alla fine arrivi, e prima o poi arrivi sempre, porti con te un mare di guai, un oceano di casini, una galassia di nervosismo, un universo intero di lotte quotidiane per la tua sopravvivenza.
Così da sogno diventi paziente, cronico ammalato della vita.
Bisogna curarti, ogni giorno, ogni ora: somministrarti flebo da litri di pazienza, antibiotici  a cassettate di compromessi, iniezioni costanti di amor proprio negato.
Perché se no tu muori.
A San Valentino ci si ama e ci si fa i regali, ma tutti gli altri giorni?
Tu boccheggi, comatoso.
Perché non ti limiti alle coppie, tu sei infinito.
Sei lo spirito di tutti i popoli, senza distinzioni di razza o credo, sei nell’amicizia vera, che ci rende indispensabili gli uni per gli altri nonostante tutto, sei nella giovinezza che porta per mano la vecchiaia, sei tutti gli animali del mondo e i mari, e i monti, e le foreste sconfinate che baciano i deserti.
E per chi ci crede, oh amore, sei anche Dio.
Allora perché, dimmi, non riusciamo a guardarci negli occhi ed accorgerci che sei noi?
Perché abbiamo bisogno di un giorno all’anno che ci ricordi che ci puoi rendere felici?
Piangi adesso? Non volevo offenderti, credimi.
Solo, così, mi domandavo.
Dai, non ti intristire, non scolorire proprio ora, ho toccato un tasto dolente, certo,  ma non importa, sai.
Non importa perché c’è chi crede in te, amore, e chi ti cura ogni giorno.
Guarda me per esempio, come ti tiro su, con questo folle amore che nutro per te, e che oggi regalo a tutti quelli che mi leggeranno.
Vi voglio bene: uno ad uno vi ho negli occhi in questo momento, e voi sapete chi siete.
Vicini, lontani, vivi o morti non importa, che vi conosca oppure no, vi voglio bene.
Ciao amore, grazie di esistere
Tua Jele

domenica 13 febbraio 2011

Se non ora quando mai

Piazze d’Italia.
Donne ovunque.
Perché? Che cosa rivendicavano in coro oggi migliaia di donne? Che cosa sognano o perseguono tutte coloro che sono scese in strada per far sentire la propria voce?
Le manifestazioni popolari sono un’incognita per me, non le ho mai capite a fondo. Forse perché le ho sempre condivise solamente in parte, credendo che, in qualunque situazione, la verità stia sempre nel mezzo e che gli estremismi vadano evitati.
Il rispetto, la dignità, il rifiuto a sfruttamento e strumentalizzazione.
Sono temi caldi, nobili ideali.
Ogni essere umano ha diritto a tutto questo, e le società del nuovo millennio non dovrebbero aver bisogno di scandali che fanno tremare le fondamenta di un paese per risvegliare le coscienze e spingere all’azione.
Dovrebbe essere normale.
Non bisognerebbe neanche porsi il problema, dovremmo goderne tutti come l’aria.
Eppure.
Eppure ancora oggi, in uno stato moderno, c’è bisogno di riaffermare prepotentemente che le donne non sono tutte uguali, che non accettano di essere trattate come oggetti, sempre messe in discussione per intelligenza e capacità lavorative.
Eppure.
Eppure ci sono signore a cui tutto questo non importa, e che continuano a giocare il ruolo di strumento del desiderio per accumulare soldi, fama, e posizioni sociali.
Eppure.
Eppure c’è chi rovescia la frittata e usa la manifestazione come lotta politica, per fare pressioni sul governo, per chiederne le dimissioni senza un reale fondamento giuridico.
Ogni donna in piazza oggi aveva le sue ragioni, e i suoi motivi per andare a gridare MaBasta.
Ciascuno di questi motivi è sacrosanto e merita di essere lodato e sottoscritto, indipendentemente dalle idee personali, convinzioni o credo.
In fondo lo scandalo sessuale che ha travolto Berlusconi qualcosa di buono ha generato: un corale MaBasta che ha svegliato le persone dal loro torpore e le ha aiutate a rendersi conto che , in fondo, il potere è nelle mani dei singoli.
E che i singoli, messi insieme, possono raggiungere ogni traguardo.
Mantenendo, però, il giusto equilibrio.

venerdì 11 febbraio 2011

Presto che il poliziotto deve andare in pizzeria


Mabastini,  so che a molti di voi è capitata la stessa cosa che sto per raccontarvi.
Genova, è scesa la sera. E’ quell’ora ormai un po’ tarda quando le luci si accendono nelle cucine delle case e nelle stanze si diffonde l’odore inconfondibile di fine giornata.
Le strade principali sono ancora impegnate a rigurgitare il traffico verso l’atteso desco e si formano code, di qua e di là, di stanchi lavoratori che vanno verso il focolare.
Io ero lì, in macchina, ferma al semaforo che diventava rosso e verde senza che nessuno avanzasse più di qualche metro.
Nella corsia affianco, quella per svoltare a destra, più o meno la stessa situazione.
Ad un certo punto arriva una volante della polizia stradale.
E comincia a suonare il clacson. C’è traffico mio bel poliziotto, non vedi?
E lui suona, e si sposta a destra e a sinistra, per cercare di passare fra le macchine incolonnate.
“Ma guarda un po’ se deve suonare e passare a tutti i costi” dico a mio padre e ad una mia amica che era in macchina con noi. “Scommettiamo che adesso accende i lampeggianti e mette la sirena?”
Detto fatto, neanche il tempo di finire la frase.
Flash blu giravano imponenti avanti e indietro, la sirena gridava come un ossesso toglietevi di mezzo, e pure il clacson non smetteva di abbaiare.
Che bisognasse sventare una rapina? Salvare un innocente da un pazzo omicida? Sequestrare quintali di cocaina ai corrieri della droga?
Immediatamente le auto davanti alla volante si sono mosse, impazzite come formiche a cui vada a fuoco il formicaio. Il rischio incidente è stato altissimo visto le macchine che correvano sparate nell’altra direzione e quelle a cui era scattato il verde.
Ma se il mondo è in pericolo cosa ci vuoi fare?
La polizia finalmente riesce a passare, spegne i lampeggianti e svolta a tutto gas. Dove sarà mai andata?
Ormai siamo arrivati al semaforo, e scatta il via anche per noi. Mentre passiamo l’incrocio guardo fuori dal finestrino e cosa vedo? La volante, duecento metri più in là, in seconda fila senza doppie frecce, davanti alla pizzeria da asporto la lanterna.
Secondo voi andavano a stanare, proprio alle 20, i mafiosi dal loro covo? Roba da riciclaggio di denaro sporco?
O si sarà trattato invece di una funghi e una quattro stagioni?
Io prendo una Mabasta, e voi?

Monica Lewinsky sull’orlo di una crisi di nervi


Le fonti americane di Mabasta hanno lasciato trapelare la sconvolgente notizia che Monica Lewinsky sia sull’orlo di una gravissima crisi di nervi.
Il crollo psichico sarebbe avvenuto in un bar, dai cui grandi schermi venivano riportate le ultime notizie mondiali, in particolare i dettagli del Rubygate.
Monica non ha retto.
Si è alzata in piedi, gli occhi fissi alle scritte in sovraimpressione che mostravano le cifre prese dalle donnine di Berlusconi per partecipare ai festini, e pare che abbia incominciato a gridare ButStop, ButStop,ButStop (che a noi sembra tanto un MaBasta, MaBasta, MaBasta) prima di uscire come un ossesso dal locale rovesciando la tavola.
Per quelli di voi che, come molti, si sono completamente dimenticati chi cavolo è Monica Lewinsky ricorderò che si tratta della bella mora che nel 1997 ha quasi distrutto la presidenza di Bill Clinton, grazie ai famosi sorbetti nella stanza ovale. Era il Sex Gate.
Ma perché Monica subisce i contraccolpi della vicenda sessuale italiana? Le riporta forse alla mente i giorni tormentosi del processo? Sì, certo.
Ma a dir la verità pare che sia incazzata come una biscia perché lei ha reso servizio per ben due anni senza mai un aumento di stipendio, un regalino, una vacanza esotica.
Perché dopo aver avuto tutti i riflettori su di sé la sua vita è andata in pezzi. Il teatro? Un flop galattico. Presentatrice tv? Neanche una stagione. La moda? Nessuna vendita.
Insomma Monica schiuma come una iena, con gli occhi iniettati di sangue, perché le festaiole del berlusca si beccano minimo 1500 euro a sera quando va male, nuotano nello champagne, hanno droga come le caramelle e, in fondo, se la spassano, a parte il dettaglio di Silvio nudo che è di per sé raccapricciante.
Almeno Bill era un bell’uomo, e giovane.
Poco importa però, perché Monica non ce la fa più.
A 14 anni dal sex gate è ancora oggetto di battutacce e comportamenti sgradevoli.
Se sul posto di lavoro non si mette per una settimana un vestito che di solito indossava spesso subito il capo la fa chiamare e la interroga. “Dov’è il vestito?” e lei “In lavanderia” e lui, che non si fida: “Mostrami la ricevuta!”.
Se va a cena con degli amici, le cade il tovagliolo e si china a raccoglierlo tutti gli uomini al tavolo si alzano di scatto, per sottolineare che lì sotto non sta accadendo niente! Non a loro!
E al supermercato? Povera Monica, non può mai avvicinarsi al banco degli yogurt senza che qualcuno le dica: lo sapevo che era una finta!
Comunque Monica, che ha due lauree e si occupa di marketing, riuscirà a farsi passare la crisi di nervi, non si roderà più il fegato ed andrà avanti con la sua vita.
Cosa succederà alle ragazze di Arcore? Tutte di altissimo livello sociale e di maestosa cultura? Sono proprio sicure che questo voler fare a gara a chi ha fatto più schifezze con Silvio e compagnia gioverà alla loro carriera?
Sono proprio certe che una volta spente le luci sullo scandalo non verranno dimenticate, come gli stracci sporchi, in una angolo buio?

giovedì 10 febbraio 2011

Confession: via i peccati con l’Iphone


Nel nome del padre, del figlio e del business.
Lanciata in commercio l’applicazione per Iphone, Ipad e IPod touch, che aiuta l’utente a prepararsi adeguatamente al sacramento della confessione.
Non è una confessione vera e propria, ci mancherebbe! Per quella ci vuole il prete, anche se io, personalmente, ho messo sempre in dubbio anche quello, perché visto che Dio è onnipotente basta essere sinceri e dirgli due cose direttamente che tanto lui ci sente benissimo. E visto che è amore incondizionato ti perdona senza troppe novene e litanie da recitare dopo.
Ma a parte questo le applicazioni di casa Apple non finiscono mai di stupirci. Questa è al limite tra il folle e il geniale.
L’inventore, un certo Leinen, il cui nome è ridicolmente simile a Lenin, sostiene che Confession  è stata creata “per accogliere l’invito di Benedetto XVI a coinvolgere maggiormente i giovani nella comunicazione sociale”
Cosa c’entri la comunicazione sociale con chiedere il perdono dei propri peccati non si sa.
Ma se tutto questo risponde alle logiche della fede, del sostegno ai giovani nel loro cammino spirituale, del voler prepotentemente ristabilire l’ordine tra tecnologia, vita materiale ed anima immortale, ma se si riempiono la bocca di tutti questi bei propositi perché l’applicazione non è gratis?
Proprio perché è perfettamente in linea con la politica della Chiesa Cattolica.
1 euro e 59.
Amen.

Stressato? Bevi Canna Cola

Il titolo è già tutto un programma, ma non è una battuta o una provocazione.
Si tratta del nome di una nuova bevanda che verrà commercializzata in America questo mese.
Fa parte della nuova, emergente, categoria degli Anti-energy drinks, che vuole invadere la fetta di mercato degli stressati, superattivi, nervosi ed insonni americani.
Alcune di queste bevande sono già presenti sugli scaffali dei market, e contengono melatonina e rilassanti che simulano la marijuana.
Ma la Canna Cola è andata oltre, e la cannabis ce l’ha messa veramente! Per il momento si troverà solo nei reparti destinati all’acquisto con prescrizione medica, tra antibiotici e pillole per la pressione.
La percentuale di Thc, spiega l'imprenditore Clay Butler al giornale Santa Cruz Sentinel, sarà tra 35 e 65 milligrammi. Una quantità molto inferiore ad altre bevande alla marijuana decisamente più artigianali.
Beh, se per artigianali si intendono quelle fatte in casa con lo sciroppo per la tosse, la Sprite e un tocchetto d’erba, sì, sono decisamente meglio!
Sul retro della bottiglia si consiglia di non guidare dopo aver bevuto, perché può insorgere sonnolenza.
Io aggiungerei: sonnolenza e visioni di tipo vario ed eventuale.
Quindi se hai le balle che ti girano a bandoliera ti fai una Canna Cola all’arancia e balli sulle punte il lago dei Cigni.
Se invece vorresti strozzare tua moglie apri il frigo, sgargozzi la Canna Cola all’uva, e quando torni in salotto ti aspetta Pamela Anderson.
Se in ufficio vorresti infilare la cravatta nel tritacarte ancora attaccata al tuo collo, nessun problema, la Canna Cola DocWeed ti farà somigliare d’un tratto a Donald Trump, ma solo nei capelli.
Insomma, ovviamente impazza la polemica, tra chi non vede l’ora di farsene fuori una cassa da 12 e chi invece è sdegnato e tuona dal palco del perbenismo.
Gli americani quindi dicono in coro Mabasta stress! Facciamoci una Canna Cola!
Arriverà mai in Italia?
Ma state ben certi che la prima volta che passo per gli USA un saltino al supermarket ce lo faccio.
Solo per scientifica osservazione ovvio, per poter riportare a voi fedeli Mabastini gli effetti reali della mirifica bibita.
Altrimenti me la compro su internet!


mercoledì 9 febbraio 2011

Uccidiamo i cani del canile, dice la sorella di Tremonti

Miei cari Mabastini, voglio solo raccontarvi una notizia che mi ha lasciato sconvolta.
Niente parolacce, anche se vi fanno ridere, niente toni ironici, niente battute.
Io amo gli animali, follemente.
Alle volte metto la testa sotto la sabbia, come fanno gli struzzi, per non sentire le storie tristi di abbandoni e violenze.
Oggi invece voglio urlare, perché non si può più stare zitti e non far niente davanti alle follie di chi ci governa.
Comune di Cantù, Como.  Angiola Tremonti, sorella del ministro e consigliere comunale di minoranza, ha avanzato la proposta di abbattere i cani ospiti da troppo tempo del canile.
Quelli brutti insomma, quelli caratteriali, quelli che hanno preso le botte e sono diffidenti, quelli che non adotta nessuno e che costano e basta.
In fondo si tratta di economia anche questa no?
Forse non dovrei aggiungere altro, perché c’è poco da dire.
Non scriverò cosa farei io alla Signora Tremonti, lo lascio a voi e alla vostra fantasia.
Commentate se volete, io non ne ho la forza.
MaBasta!

La dogana tassa la rete

Miei mabastini, che scazzo stasera!
Mi capita spesso, come fotografa, di acquistare software online. Alle volte invece sono semplici ebook di carattere tecnico, guide, tutorials.
Ho sempre pagato con paypal, gongolando perché di solito questi prodotti sono americani e l’euro mi ha sempre dato una mano col cambio.
Insomma avevo un incentivo all’acquisto, una delizia per gli occhi quando per esempio il prezzo era 20$ ma sganciavo solo 17 euro!
Briciole, lo so, ma sono genovese e ho le braccia corte, d’accordo? Uff!
Per non dilungarmi oltre: giusto mezz’ora fa ho scovato una guida che mi ha ispirato particolarmente.
Si tratta di istruzioni per l’uso dei blog. Cosa non si fa per allietare le vostre giornate con un Mabasta fatto bene! E soprattutto per aumentare il traffico di mabastini nel mondo.
Decido, clicco, acquisto.
E Paypal mi fa una sorpresa orrenda: prezzo in dollari + tasse di importazione.
7 euro!!!! Un furto assurdo! 2/3 del costo dell’ebook!
Ma cosa sto importando scusa? Bytes.
Prodotto dell’ingegno, lo capisco, ma è privo di consistenza, non è un oggetto, non passa la Dogana.
Sì perché sono loro i bastardi che allungano le zampe di ratto dappertutto, che tassano, tassano, e tassano!
Se qualcosa arriva dagli stati uniti sono mazzate, indipendentemente dal valore della spedizione.
Una volta ho dovuto pagare 15 euro per un cd omaggio! E già allora mi era affiorato alle labbra un bel Mabasta, dopo un più sano  vaffanculo!
E adesso anche i pdf vengono considerati prodotto di importazione.
Riderei se non fosse irata come un pitone che ha ingoiato un dik dik con la diarrea, e ora sta sputando cacca come un lama.
Inferocita come una iena vegetariana!
Infastidita come una puzzola caduta in una vasca di Chanel n.5!
Pago le tasse in un paese che non offre nulla, indietro di secoli su tutto ciò che è tecnologia, che non conosce ancora i meccanismi e le opportunità della rete, che vuole mettere una catena al libero pensatore e a chi vuole guadagnare con un computer, senza fare l’operaio o l’impiegato per tutta la vita.
Un paese che va a puttane, e ahimè non è un eufemismo

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